L’innovazione: una scelta obbligata per una corilicoltura redditizia

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Cercare di ripetere l’evoluzione avvenuta negli ultimi 50 anni nella frutticoltura specializzata delle pomacee e delle drupacee, oppure continuare con la tradizione perpetuata da secoli? Questo è il dilemma che devono affrontare oggi i produttori di frutta in guscio, con particolare riferimento ai coltivatori del nocciolo.

È ben noto infatti che gran parte dei settori frutticoli italiani sono progrediti rapidamente riuscendo a competere con l’evoluzione mondiale, a volte anticipandone anche le scelte. Pensiamo alla produzione di mele, pere, susine, albicocche, ciliegie, ecc. che, nell’arco di mezzo secolo hanno visto gli alberi da frutto trasformarsi da piante singole ben distanziate tra loro e mantenute a vaso, verso coltivazioni su filari con chiome strutturate a palmetta, a spalliera, a Spindel, oppure con altre forme, tutte perfettamente funzionali e adatte per l’esecuzione delle cure colturali. Operazioni, queste ultime, che dovranno essere sempre più accurate e frequenti per ottenere dei prodotti di pregio apprezzati dai mercati internazionali e da quelli interni della GDO.

Pianta di nocciolo allevata a monocaule – Foto M. Moraldi

Altrettanto non è avvenuto nella produzione della frutta a guscio e, in particolare, nella coltivazione del nocciolo. Il comparto è rimasto legato alla tradizione vecchia di secoli, se non di millenni, tipica di alcune regioni come il Piemonte, il Lazio, la Campania e la Sicilia dove il Corylus avellana L. si coltiva ancora oggi, per gran parte, mantenendo le piante a forma di cespuglio con l’unica distinzione tra i modelli definiti “policaule” (caratterizzati da 3-4 pertiche che si diramano dal colletto), oppure quelli “multicaule” (contrassegnati da un numero indefinito di pertiche lasciate sviluppare liberamente fin dalla base).

Anche le distanze d’impianto tradizionali non rispettano quasi mai l’esigenza di sfruttare al meglio lo spazio disponibile, pur restando ferma l’esigenza di garantire anche in futuro, a ogni pianta, una superficie che le permetta di captare un’adeguata quantità di luce solare.

Solo nell’ultimo decennio, mutuando le tecniche della frutticoltura tipica delle pomacee e delle drupacee, si è iniziato a investire, anche nel nostro Paese, in piantagioni di nocciolo specializzate, rendendosi conto che le piantagioni gestite con i metodi tradizionali si sarebbero ben presto posizionate fuori mercato, anche per l’affacciarsi, tra i produttori mondiali, di Paesi come gli USA, il Cile e alcuni Stati dell’Europa orientale, sia facenti parte della UE che al di fuori.

Tutti questi nuovi attori, per conquistare spazi di mercato e competere con i bassi costi della Turchia e di altri produttori simili, hanno investito su tecniche di coltivazioni moderne che prevedono impianti intensivi o superintensivi, irrigazione localizzata e spesso sotterranea, meccanizzazione all’avanguardia che comprende trattrici innovative anche a guida autonoma, controllo satellitare e utilizzo di droni per la ricognizione e, ove permesso, anche per gli interventi fitosanitari.

Impianto a monocaule di cinque anni – Foto M. Moraldi

Tali metodi innovativi sono stati adottati anche in alcune Regioni italiane prive di antica tradizione nella coltivazione del nocciolo. In Umbria, ad esempio, sono presenti piantagioni all’avanguardia, come quella estesa per circa 100 ettari, di proprietà della Fondazione per l’Istruzione Agraria in Perugia, facente parte integrante del “NoccioLivingLab” costituito con il supporto scientifico del Dipartimento DSA3 di UniPG. In tale appezzamento, posto lungo la valle del Tevere, viene coltivata la varietà ‘Tonda Francescana’® adottando la subirrigazione congiunta alla fertirrigazione, la sorveglianza satellitare per monitorare le necessità irrigue e quelle nutritive, nonché il controllo ambientale mediante una stazione meteorologica digitale posizionata all’interno del noccioleto. Il sesto d’impianto del noccioleto, pur consentendo la completa meccanizzazione delle operazioni colturali, permette di avere un’alta densità di piante a ettaro (circa 650) mantenendo uno spazio tra un filare e l’altro di circa 5 metri.

Sicuramente anche la densità d’impianto appena detta potrà essere rivista e aumentata in futuro alla luce dei risultati delle ricerche in corso, soprattutto quando si prevede di impiegare del materiale di moltiplicazione innestato su Corylus colurna L., visto che tale portinnesto tende a indirizzare le chiome del nocciolo da frutto verso una forma più raccolta.

Sicuramente, senza mai rimpiangere il passato, la scelta dell’allevamento a monocaule è l’unica che permetta un efficiente impiego dei mezzi meccanici sia nell’esecuzione delle cure colturali, sia durante le operazioni di raccolta delle nocciole. Grazie al maggior arieggiamento al suolo, contribuisce anche a diminuire il rischio dello sviluppo di molti patogeni, tutti notoriamente favoriti dagli ambienti caratterizzati dal ristagno di umidità. La coltivazione del nocciolo a fusto unico (monocaule) resta pertanto l’unica risposta concreta alla domanda posta inizialmente.

L’allevamento a monocaule agevola la meccanizzazione della raccolta – Foto M. Moraldi

Autore: Agr. Moreno Moraldi – Studio di consulenza agroforestale ProVerde

Pubblicato: 04-02-2025

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