Novità sulle malattie del legno del nocciolo: intervista a V. Guarnaccia e M. Monchiero

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Negli ultimi anni sono aumentate notevolmente le segnalazioni di cancri associati a disseccamenti dei rami sul nocciolo. Gli agricoltori sono molto preoccupati perché mentre un tempo comparivano solo su vecchi impianti mal curati e fitti, ora invece interessano pesantemente anche le giovani piante. É verosimile che queste recrudescenze siano da mettere in relazione con le anomalie climatiche causate dal surriscaldamento globale: estati molto calde e siccitose hanno sicuramente causato forti stress nelle piante che sono state più facilmente aggredite dai funghi patogeni solitamente associati ai disseccamenti rameali.

Nella pratica, tecnici e agricoltori sono soliti attribuire questi sintomi al fungo Cytospora corilicola, agente del mal dello stacco; facilmente riconoscibile anche per la presenza sulla corteccia di cirri gelatinosi di colore rosso aranciato che ne rappresentano i corpi fruttiferi. In realtà però le ricerche condotte in passato in diversi areali corilicoli sia in Italia che all’estero avevano già chiarito che i patogeni coinvolti in questa malattia sono diversi e diverso è anche il ruolo e la loro pericolosità. Inoltre, alla luce delle conoscenze di cui attualmente disponiamo, non è stato ancora possibile definire misure di lotta diretta, ma la difesa si basa su una serie di misure prevalentemente volte a prevenire l’instaurarsi delle infezioni sugli organi legnosi.

Rottura del legno: tipico sintomo di mal dello stacco
Foto V.Guarnaccia

La situazione sta cambiando dopo la recente pubblicazione su una prestigiosa rivista internazionale del lavoro scientifico Characterization and pathogenicity of fungal species associated with hazelnut trunk diseases in North-western Italy , realizzato da alcuni ricercatori dell’Università di Torino che, con grande rigore metodologico, hanno studiato in Piemonte questa malattia e i funghi patogeni ad essa associati. Il lavoro è stato condotto con il supporto del progetto “Nocciola di qualità”.

Abbiamo posto al prof. Vladimiro Guarnaccia docente e ricercatore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Ambientali (DISAFA) e del Centro Interdipartimentale Agroinnova dell’Università di Torino e al dott. Matteo Monchiero, agronomo esperto di patologia del nocciolo e della vite, che hanno fatto parte del gruppo di ricerca, alcune domande per far meglio comprendere ai nostri lettori il significato del loro lavoro e le possibili ricadute sulla difesa dei corileti.

Prof. Vladimiro Guarnaccia

Anzitutto grazie per la vostra disponibilità. Potete illustrarci sinteticamente in cosa è consistita la vostra ricerca?

Guarnaccia: La ricerca che ho coordinato con il prezioso contributo del dott. Matteo Monchiero e svolto dalla dott.ssa Ilaria Martino, ricercatrice post-doc del DISAFA dell’Università di Torino, ha avuto l’obietto di avviare e completare un’indagine eziologica circa la malattia nota come mal dello stacco che, negli ultimi anni, ha raggiunto valori di incidenza e gravità preoccupanti nei noccioleti piemontesi. Abbiamo visto, infatti, come questa malattia sia la causa di elevate perdite della chioma delle piante con conseguenti perdite di produzione e, talvolta, la necessità di sostituzione delle piante, mostrando una forte necessità di chiarimenti sulla conoscenza dei fattori biotici e abiotici collegati alla malattia. L’osservazione della malattia in campo e la raccolta di campioni sintomatici, poi analizzati in laboratorio, ha permesso parallelamente di guardare con attenzione alla distribuzione del mal dello stacco sul territorio corilicolo piemontese.

Dr. Matteo Monchiero

Monchiero: Come dice il professor Guarnaccia, i disseccamenti della chioma e i fenomeni di rottura delle pertiche, con conseguenti gravi perdite di produzione, hanno raggiunto in questi anni livelli non più sostenibili per le nostre aziende corilicole, soprattutto quelle che coltivano la Tonda Gentile Trilobata, notoriamente poco produttiva. Noi tecnici che lavoriamo sul campo, avevamo quindi bisogno di comprendere maggiormente le cause, per poter dare risposte utili agli agricoltori e il primo passo era quello di sapere chi fosse o chi fossero gli agenti eziologici, per individuare quali strade sia meglio seguire per prevenire e combattere la malattia (o le malattie).

Disseccamenti parziali della chioma
Foto V. Guarnaccia

Grazie alle vostre ricerche si è chiarito che in Piemonte i disseccamenti dei rami di nocciolo, che voi avete chiamato “malattie fungine del tronco” in acronimo inglese FTD e che vengono solitamente attribuite a Cytospora corilicola, in realtà possono essere causati da diverse specie fungine. Quali sono quelle più pericolose per il nocciolo?

Guarnaccia: le nostre analisi che si basano su tecniche di microscopia e caratterizzazione morfologica dei funghi, ma soprattutto su metodi molecolari come il sequenziamento di regioni geniche e la comparazione delle sequenze attraverso filogenesi, hanno consentito l’identificazione di diverse specie fungine e l’individuazione di Anthostoma decipiens come la specie maggiormente presente in associazione alle piante malate. Inoltre, le sequenze di DNA ottenute non hanno dimostrato la presenza del patogeno Cytospora corilicola, noto agente causale delle malattie del legno del nocciolo in altri continenti. Infine, gli studi della patogenicità su piante sane di nocciolo hanno confermato come specie appartenenti ai generi Botryosphaeria, Diplodia e Diaporthe abbiano un ruolo cruciale nello sviluppo dei disseccamenti; in tutti i casi si tratta di patogeni che, purtroppo, impariamo a conoscere negli ultimi anni perché responsabili di malattie su diverse colture economicamente importanti in Piemonte (melo, mirtillo, vite).

Monchiero: Si è cercato di fare esattamente quanto fatto su altre colture e cioè capire quali siano le specie patogene coinvolte, primo passo per impostare una strategia di lotta o di prevenzione e, come sulla vite e su altre colture, emerge che i generi coinvolti cambiano e soprattutto aumentano nel tempo, anche a causa delle modificazioni climatiche, con una presenza sempre più importante di Botryosphaeriaceae e Diaporthaceae.

Conidi di Anthostoma decipiens osservati al microscopio ottico
Foto V. Guarnaccia

Perché è importante identificare esattamente il genere e la specie dei patogeni che troviamo associati alle malattie del legno?

Guarnaccia: le specie fungine non sono tutte uguali, al contrario, spesso mostrano comportamenti differenti nell’interazione con la pianta ospite, con fattori ambientali (temperatura, umidità) e nella sensibilità ad agrofarmaci di potenziale utilizzo in campo. Solo attraverso una corretta identificazione degli agenti causali di malattia saremo in grado di condurre i nostri studi puntando all’individuazione di strategie di difesa efficaci. Inoltre, conoscendo i patogeni riusciamo a sviluppare strumenti di diagnostica rapida che potranno essere utili ai produttori e vivaisti per rilevare la presenza delle specie fungine di interesse in campo e in associazione al materiale di propagazione. Infine, i patogeni del legno potrebbero avere un ulteriore ruolo nello sviluppo di altre malattie, e alcune specie del genere Diaporthe ne sono un perfetto esempio considerando il loro ruolo nell’avariato delle nocciole recentemente dimostrato da uno studio del prof. Spadaro dell’Università di Torino. Dunque, solo attraverso una corretta identificazione saremo in grado di adottare strategie trasversali per la gestione di diverse malattie.

Monchiero: Come si è detto è fondamentale, perché è la conditio sine qua non per capire quali strade debba seguire l’impostazione di strategie di lotta e da cosa partire (lotta agronomica o chimica, preventiva o curativa) e crea le basi per la futura ricerca di eventuali antagonisti.

I sintomi causati dai diversi patogeni sono così differenziati da rendere possibile l’identificazione della specie responsabile soltanto sulla loro base senza necessariamente fare ricorso ad analisi di laboratorio?

Guarnaccia: purtroppo non è così semplice. Abbiamo osservato in campo la manifestazione di due malattie distinte: il mal dello stacco vero e proprio, caratterizzato da necrosi interne nella parte basale delle branche con conseguente rottura del legno (da cui il nome “stacco”) e i disseccamenti della parte apicale della chioma. Le analisi hanno mostrato una maggiore presenza di alcune specie patogene in associazione ad una o all’altra malattia, ma possiamo dire con certezza che risulta possibile discriminare le specie basandosi esclusivamente sui sintomi osservati. Un piccolo aiuto ci viene dato dalla specie A. decipiens che, sulla parte esterna del legno, produce spesso dei cirri rossastri, osservabili ad occhio nudo, formati da masse di spore conidiche; questo dimostra la presenza di A. decipiens sulla pianta malata, ma non esclude automaticamente la presenza di altre specie patogene.

Monchiero: A noi tecnici che operiamo in campo piacerebbe riuscire sempre a diagnosticare le malattie subito, analizzando i sintomi, ma in casi come questi, in cui i potenziali patogeni sono così numerosi, è fondamentale l’analisi di laboratorio che ci permette di associare con precisione il sintomo al fungo e, speriamo, di capire quali siano le cause biotiche o abiotiche che danno l’avvio alla malattia.

Masse di spore conidiche di A. decipiens prodotte sul legno
Foto V. Guarnaccia

Gli agricoltori sono in attesa di ricevere indicazioni per migliorare la difesa dei noccioleti. Quali sono gli aspetti che sarà opportuno approfondire nelle future ricerche per poter dare a loro risposte concrete?

Guarnaccia: il nostro gruppo di ricerca sta lavorando su diverse strade. Un ruolo fondamentale è rappresentato dalla qualità del materiale di propagazione, non si può rischiare in fase di impianto di utilizzare materiale già infetto. Inoltre, si conosce troppo poco sull’efficacia di agenti di lotta biologica contro i patogeni che causano le malattie del legno del nocciolo. Diverse indagini sono in corso al fine di approfondire queste tematiche e riuscire a dare soluzioni, che, vanno integrate tra loro per sviluppare strategie che dovranno essere adottate sin dalle prime fasi ed essere applicate costantemente.

Monchiero: Per poter dare risposte, abbiamo bisogno di sapere chi avvia il processo: sono i funghi, o sono gli Scolitidi o ci sono cause abiotiche? Poi dobbiamo cercare, nel caso di parassiti e patogeni, potenziali antagonisti per avviare strategie di lotta sostenibili e intanto cercare di capire come mettere a punto tecniche agronomiche per ridurre i fattori di rischio. 

Copyright: NocciolaRe
Pubblicato: 25-03-2024

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