Le crisi climatiche, che così pesantemente stanno condizionando negli ultimi anni la corilicoltura, sono anche figlie di un modello di sviluppo economico non più sostenibile che deve essere modificato nella direzione della economia circolare.
Il concetto di economia circolare nasce dalla presa di coscienza dell’insostenibilità dei processi produttivi tradizionali dal punto di vista economico e ambientale. L’esaurimento delle risorse naturali, l’inquinamento, i cambiamenti climatici e l’aumento della popolazione mondiale hanno imposto la necessità di sviluppare questo nuovo modello economico che, se adottato correttamente e rapidamente, può contribuire significativamente a contrastare la grave situazione ambientale attuale.
A questo proposito è stata pubblicata da un gruppo di ricercatori del CREA-IT di Torino una ricerca per valutare l’impatto ambientale dei processi di produzione in alcune aziende corilicole del Piemonte.
Per saperne di più abbiamo intervistato uno degli autori, il dottor Alessandro Suardi, a cui abbiamo posto una serie di domande.

Cos’è l’economia circolare e perché è così importante oggigiorno?
Nell’economia tradizionale i processi produttivi sono di tipo lineare: a input di materie prime ed energia corrispondono output costituiti dal prodotto finito e dagli scarti, tradizionalmente trattati come rifiuti. L’estrazione delle materie prime, così come il trattamento e lo smaltimento di questi ultimi comportano però dei costi oltre ad avere un impatto notevole sulle risorse non rinnovabili e sull’ambiente. Nell’economia circolare, invece, gli scarti ottenuti nei processi produttivi non vengono trattati come rifiuti ma vengono immessi in altri processi produttivi. Ciò che in un processo produttivo nasce come scarto, diventa materia prima per un altro processo generando un circolo virtuoso. Solo quando lo scarto non è valorizzabile in nessun altro modo, viene utilizzato come risorsa energetica, laddove le caratteristiche del materiale siano tali da avere una buona resa senza immissioni gassose pericolose in atmosfera.
Ci può descrivere sinteticamente la ricerca che avete svolto?
Il progetto Cos.No.F., finanziato dalla Fondazione CRT e realizzato dal CREA-IT di Torino, ha avuto come obiettivo principale quello di valutare le potenzialità di sviluppo di prodotti cosmetici a partire da materiali di scarto delle filiere agroalimentari, nel caso del nocciolo dall’estrazione di composti bioattivi dai gusci e da altri sottoprodotti agroindustriali. Oltre a questo obiettivo, il progetto ha svolto alcuni approfondimenti sugli impatti ambientali della filiera del nocciolo in Piemonte, adottando la metodologia del Life Cycle Assessment (LCA). Questa metodologia consiste nell’analizzare l’impatto ambientale di un prodotto o servizio considerando tutte le fasi del processo, dall’estrazione delle materie prime allo smaltimento finale. Nel caso del progetto, sono state studiate sia la fase agricola, raccogliendo tutti i dati necessari ai calcoli in due aziende piemontesi, sia la fase di trasformazione delle nocciole, analizzando i processi di produzione di una piccola azienda agroalimentare.
Alla luce dei risultati conseguiti nel progetto, il nocciolo e la sua filiera sono risultati rispondere bene ai requisiti di sostenibilità per un’economia circolare. In particolare cosa avete potuto appurare?
I risultati mostrano che la filiera del nocciolo piemontese presenta una buona coerenza con i principi di sostenibilità ambientale e circolarità, anche se con margini di miglioramento legati soprattutto alla gestione degli input produttivi. Nel nostro studio, le emissioni di gas serra (GHG) sono risultate pari a 1,164 kg CO₂-eq per kg di nocciole con guscio al campo, un valore intermedio rispetto al range riportato in letteratura per l’Italia (0,32–2,48 kg CO₂-eq/kg), che varia in funzione dell’intensità colturale e delle pratiche gestionali. Questo risultato colloca le aziende analizzate in una fascia di sostenibilità ambientale moderata, con buone prospettive di miglioramento attraverso l’adozione di tecniche più efficienti. Gli hotspot ambientali principali sono risultati il consumo di fertilizzanti e di carburante agricolo, in linea con quanto emerso in altri contesti italiani ed esteri. Tuttavia, la possibilità di recuperare e valorizzare i sottoprodotti (in particolare i gusci, utilizzati come biocombustibile per la produzione di calore) rappresenta un elemento di circolarità molto rilevante, capace di ridurre l’impronta carbonica complessiva del sistema. In sintesi, la filiera piemontese si dimostra ambientalmente sostenibile, ma nel nostro progetto abbiamo individuato possibilità di miglioramento, come ad esempio mediante la valorizzazione dei residui delle potature.

Il caso studio su cui avete concentrato il vostro lavoro riguarda una azienda medio-piccola che opera in un contesto di filiera corta. Sarebbe interessante estendere la ricerca su scala più ampia a contesti più rappresentativi della realtà produttiva regionale?
Il caso analizzato rappresenta un modello virtuoso di piccola impresa integrata, dove la prossimità tra produzione e trasformazione riduce le distanze di trasporto e permette un migliore controllo dei flussi energetici e materiali. Tuttavia, la sostenibilità del comparto corilicolo piemontese è fortemente dipendente dal contesto territoriale e gestionale. Studi condotti in altre regioni italiane mostrano, ad esempio, che in Campania le emissioni variano da 0,32 kg CO₂-eq/kg (biologico) a 2,48 kg CO₂-eq/kg (intensivo), mentre nel Lazio i sistemi biologici possono presentare impatti complessivi più elevati dei convenzionali, a causa delle rese inferiori e dell’assenza di fitofarmaci di sintesi. Estendere lo studio a un campione più ampio di aziende, differenziando tra zone pianeggianti e collinari, consentirebbe di individuare le strategie più efficaci per aumentare l’efficienza ambientale. Questo approccio è particolarmente utile anche per confronti con altre filiere frutticole, come quella della mandorla, che condivide problematiche simili (fertilizzazione, irrigazione, gestione fitosanitaria) ma in contesti climatici più aridi. Un’analisi su scala regionale permetterebbe inoltre di stimare il potenziale di riduzione delle emissioni complessive, e di fornire strumenti decisionali per politiche di sostegno alla transizione ecologica del comparto.
Quali prospettive future si aprono per rendere la filiera del nocciolo ancora più sostenibile e competitiva?
La filiera del nocciolo piemontese dispone di ampie opportunità di miglioramento, soprattutto attraverso l’innovazione tecnologica e la gestione efficiente delle risorse. Le tecniche di agricoltura di precisione possono ridurre i consumi di carburante e fertilizzanti, migliorando la resa e abbattendo le emissioni per unità di prodotto. L’uso di fertilizzanti organici locali o compost da sottoprodotti agroindustriali può diminuire la dipendenza dai fertilizzanti minerali, uno dei principali driver delle emissioni. Anche la fase di trasformazione può contribuire in modo significativo: il riutilizzo dei gusci come biomassa è già una buona pratica, ma può essere esteso alla produzione di biochar o pannelli ecocompatibili, rafforzando la simbiosi tra filiera agricola e industria. A livello di mercato, la tracciabilità ambientale e la certificazione del profilo di sostenibilità (es. Carbon Footprint o Environmental Product Declaration) possono aumentare la competitività del prodotto piemontese, oggi apprezzato per qualità, ma sempre più valutato anche per le sue prestazioni ambientali. Infine, la creazione di reti di collaborazione tra aziende agricole, trasformatori e centri di ricerca sarà cruciale per sviluppare filiere integrate e resilienti, in grado di conciliare sostenibilità ambientale, redditività economica e responsabilità sociale.
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Pubblicato ..-10-2025