L’Italia è restia al cambiamento, ma l’assetto frutticolo di un Paese può cambiare radicalmente nel giro di un decennio: il Cile ne è un esempio. Le ciliegie cilene, esportate in mezzo mondo, hanno giocato la parte del leone in questo processo di riconversione colturale, ma le nocciole non sono da meno.
A fotografare i grandi cambiamenti della frutticoltura cilena è stato un recente studio dell’Oficina de Estudios y Políticas Agrarias (Odepa): una serie di fattori che vanno dalla redditività delle colture alla siccità e ai cambiamenti climatici hanno portato gli agricoltori cileni a concentrarsi su nuove colture.
Se nel 2012 uva da tavola, avocado e mele dominavano il settore, oggi il ciliegio guarda tutti dalla cima della classifica: da solo vale il 16% della superficie frutticola del Paese, il noce è salito al secondo posto e la nocciola è entrata nella top 5.
Mutamenti che sono frutto di investimenti rilevanti, perché ampliare il frutteto nazionale da 286.000 ettari a più di 375.000 non è un gioco da ragazzi. E i noccioleti sono passati da 5722 ettari del 2012 ai 36.393 dello scorso anno. Per le nocciole cilene si aprono quindi grandi prospettive produttive.
“Oltre al noto boom del ciliegio, le nocciole sono un altro albero da frutto che si è diffuso in modo massiccio nel Paese – dice l’esperto Osvaldo Errázuriz al giornale La Vision -. I dati di Odepa mostrano che in 10 anni si sono moltiplicati di oltre sei volte, classificandosi come il quarto albero da frutto più coltivato del Paese. Questa coltura ha come vantaggio, oltre alla sua meccanizzazione, la possibilità di essere coltivata in zone dove i prezzi dei terreni sono ancora competitivi, a differenza delle aree più centrali, dove il boom agro-residenziale ha aumentato notevolmente i prezzi e sono state maggiormente colpite dalla siccità”.
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Pubblicato: 19-06-2023