Professor Tombesi, il 27 giugno si terrà all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza un’importante giornata di formazione, nel corso della quale si farà il punto su alcune delle più recenti acquisizioni della ricerca scientifica in corilicoltura. Lei ne è uno dei promotori e ha condotto diversi lavori sul nocciolo. Può indicarci in sintesi gli aspetti della coltura a cui ha dedicato particolare attenzione e quali siano stati i risultati più significativi conseguiti?
La ricerca in corilicoltura presso la nostra sede è fondamentalmente focalizzata su 3 filoni: miglioramento delle tecniche di propagazione e miglioramento genetico, adattamento al cambiamento climatico e infine gestione del corileto. Nel primo filone sono state affrontate l’ottimizzazione delle tecniche di propagazione per talea e per innesto, e l’inizio di un programma di miglioramento genetico che attualmente comprende circa 13.000 semenzali già messi a dimora ed in corso di selezione. Inoltre sempre nello stesso programma è prevista la selezione di portinnesti clonali di Corylus colurna. Per il secondo filone ci siamo principalmente dedicati a determinare la sensibilità di differenti varietà agli stress da deficit di vapore che accadono ad alte temperature e basse umidità pur in presenza di piena irrigazione. Questi stress causano diminuzioni di fotosintesi nell’immediato e se prolungati nel tempo danni da scottatura sulle foglie. Questi danni sono maggiori sulle foglie portate sui rami corti e nelle foglie vicino ai frutti con evidenti ripercussioni su quello che può essere il processo di allegagione e riempimento della nocciola. Per il terzo filone ci siamo occupati di costruire un modello architetturale che ci consenta di prevedere lo sviluppo della pianta in risposta all’applicazione delle tecniche colturali. Su questa base ci siamo anche dedicati all’investigazione delle basi fisiologiche del processo di allegagione dei frutti, individuando nell’allungamento del germoglio alla base dell’infiorescenza un’importante limitazione all’allegagione: infatti maggiore è l’allungamento di questo ramo tra aprile e maggio, maggiore è l’area fogliare vicino al fiore e questo porta ad una maggiore allegagione. Per stimolare questo processo è possibile effettuare la cimatura invernale dei rami lunghi, a due gemme vegetative sopra all’ultimo fiore, per osservare un incremento consistente dell’allegagione. Inoltre ci stiamo occupando anche delle tecniche di forzatura e gestione in giovani noccioleti per ridurre la fase improduttiva giovanile.
Su quali novità e filoni di ricerca si concentrerà la visita ai campi sperimentali dell’Università?
Il nostro campo sperimentale, che al momento comprende circa 5 ha di noccioleto, è costituito per la maggior parte da campi di semenzali basati su densità d’impianto tra le 1200 e le 4200 piante ad ettaro destinati alla selezione delle nuove varietà. Sarà quindi possibile vedere e discutere in anteprima dei criteri che stiamo utilizzando per selezionare quelle che auspichiamo essere le varietà del futuro. Inoltre sarà possibile vedere un campo di piante innestate su Corylus colurna alla quarta foglia impiantate a 4 x 2 m, quindi secondo un modello superintensivo. Infine, circa un ettaro è rappresentato da un noccioleto piantato a 4x4m in cui sono raccolte la maggior parte delle varietà raccomandate per i nuovi impianti. In questo noccioleto sarà possibile vedere e discutere delle tecniche di gestione più appropriate per forzare lo sviluppo dell’impianto nella sua fase giovanile in ragione dei costi di gestione. Ritengo che questo sia un nodo centrale, soprattutto per i nuovi impianti e per i nuovi corilicoltori che si affacciano per la prima volta a queste problematiche.
La spollonatura rappresenta una delle pratiche colturali più onerose per il nocciolo. L’impiego di portinnesti non polloniferi, su cui innestare le varietà locali, sembrerebbe essere una valida alternativa sia in termini economici che di sostenibilità. I problemi che si frappongono ad una più estesa applicazione di questa tecnica sono solo dovuti alla lentezza con cui il mondo corilicolo a volte accoglie le innovazioni, o ci sono ancora aspetti da mettere a punto?
La tecnica dell’innesto su portinnesti non polloniferi è una tecnica che sulla carta rappresenta il futuro della corilicoltura in un’ottica di sostenibilità economica e ambientale. Come tutte le soluzioni ha delle problematiche e soprattutto dei colli di bottiglia. Primo fra tutti la disponibilità vivaistica: attualmente il materiale disponibile in vivaio è molto limitato. Secondo nodo è la disponibilità di portinnesti clonali: la maggior parte delle piante in commercio sono su portinnesti ottenuti da semenzali e i pochi clonali disponibili hanno importanti limitazioni, come la produzione di polloni che è ridotta ma non eliminata, oppure non vi è stato un processo di selezione agronomica a monte e quindi non si hanno informazioni sul loro comportamento in pieno campo. Nella visita sarà possibile toccare con mano le problematiche e le opportunità offerte dall’utilizzo di portinnesti di C. colurna in questo momento. Comunque, anche considerando questi punti, credo che già oggi l’impianto di corileti su tali portinnesti porti assolutamente più benefici che controindicazioni, specialmente in impianti su terreni fertili e ben condotti.
Col passare degli anni gli effetti dei cambiamenti climatici colpiscono sempre più pesantemente anche la coltivazione del nocciolo. Quali suggerimenti possiamo dare ai nostri coltivatori per rendere sempre più resiliente la coltura e come si sta muovendo la ricerca in tal senso?
Il primo suggerimento è investire sulla professionalità dell’agricoltore; se in passato produrre era abbastanza semplice seguendo pochi accorgimenti ed eseguendo poche operazioni, anche solo la raccolta, oggi tutto questo non è più possibile. E’ necessario prima di tutto osservare e vivere in continuazione quello che avviene nel noccioleto. Bisogna individuare gli indizi che ci consentano di capire quelli che sono i fattori che limitano la produttività del noccioleto e poi intervenire con tutte le tecniche agronomiche ordinarie e straordinarie fino anche al reimpianto. I cambiamenti climatici impongono di abbandonare molti dei dogmi su cui si basa la corilicoltura contemporanea perché ciò che era usuale fino a 20 anni fa ora non lo è più. Si pensi solo all’irrigazione, che in molte aree poteva non essere necessaria. Oggigiorno vanno riconsiderate tutte le tecniche di gestione del corileto alla luce dell’andamento stagionale corrente. Un esempio pratico lo abbiamo avuto nelle ultime due stagioni; nel 2023 abbiamo dovuto terminare i sovesci autunno-vernini ad inizio aprile quando non erano ancora maturi ed incominciare l’irrigazione ad aprile perché avevamo una primavera estremamente siccitosa e il germogliamento era rallentato; nel 2024 abbiamo terminato i sovesci a metà maggio perché abbiamo avuto una primavera estremamente piovosa. Per adattarsi di anno in anno alla stagione bisogna capire quali sono i fattori che portano all’adozione di una tecnica piuttosto che un’altra e quindi è quanto mai necessaria la professionalità dell’agricoltore che sa individuare immediatamente il problema e adattare la propria tecnica per risolverlo. A questo va affiancato uno sforzo di ricerca che arricchisca il numero e la qualità degli strumenti a disposizione dell’agricoltore. A questo proposito il nostro programma di miglioramento genetico cerca di dare delle risposte concrete anche se a medio lungo termine. Infatti la leva genetica rappresenta uno strumento fondamentale che ci potrebbe consentire di utilizzare varietà più adatte al clima attuale, perché selezionate nelle condizioni climatiche correnti, che offrano delle opzioni maggiori a livello di fenologia e produttività e che consentano all’agricoltore di adattarsi maggiorente alla gamma di condizioni pedoclimatiche della propria azienda; il fatto di avere a disposizione non più di 4-5 varietà più o meno valide per i nuovi impianti rappresenta un sostanziale collo di bottiglia per il rinnovamento della corilicoltura italiana.
Anche per il nocciolo la ricerca scientifica rappresenta il motore della crescita. Quali sono a suo avviso gli argomenti su cui questa dovrebbe concentrarsi nel nostro paese pensando al nocciolo?
A mio avviso è necessario partire dalle esigenze degli agricoltori: le maggiori criticità che vivono oggi sono relative alla necessità di incrementare i margini. Sono convinto che le strade per fare questo passano attraverso l’incremento della produttività degli impianti ed un maggiore controllo in campo dei fattori che impattano sulla qualità. Per il primo punto è necessario avviare una politica di rinnovamento degli impianti, ma per questo è necessario definire, attraverso la ricerca, nuovi modelli che includano nuove varietà, sesti d’impianto, utilizzo del portinnesto per ridurre i costi e l’impatto ambientale, irrigazione (anche di questo si parlerà il 27 giugno) e fertilizzazione, ed infine la potatura. In generale è necessario adottare una mentalità più frutticola, più industriale. Il controllo della qualità passa ovviamente dal contrasto della cimice asiatica, di cui si parlerà anche il 27 giugno, ma anche all’adozione di irrigazione e fertilizzazione, che, se ottimizzate, possono aiutare a migliorare la resa. C’è poi la gestione della raccolta: su quest’ultimo punto ci siamo adagiati su schemi consolidati, ma dobbiamo cominciare a ragionare e a pensare a sistemi meno limitanti per la gestione del suolo e che concentrino la raccolta nella stagione estiva.
In Italia operano valenti ricercatori che ogni anno realizzano lavori scientifici di carattere applicativo. Molti di questi producono risultati che potrebbero essere rapidamente trasferiti al mondo produttivo. Sovente però manca un’adeguata divulgazione. Cosa si potrebbe fare per migliorare la comunicazione?
Sinceramente penso che più che di divulgazione ci sia bisogno di un interscambio: la buona ricerca nasce dal vivere il settore che significa ascoltarne le esigenze, andare in campo e toccare con mano i problemi. Questo permette di basare i propri ragionamenti e ipotesi su una solida base di realtà: troppo spesso si nota una profonda scollatura tra le reali problematiche degli agricoltori e i programmi di ricerca e sviluppo e questo è dovuto ad un basso coinvolgimento degli agricoltori nel processo di definizione degli indirizzi della ricerca. Oggigiorno, la nostra attenzione spesso viene distratta da modalità di comunicazione fantasmagoriche e tecniche avveniristiche, ma andando in campo ci si rende conto che le problematiche spesso hanno delle basi molto più semplici, che però non fanno notizia o che vengono percepite come scontate. In corilicoltura, stiamo parlando oggi di rinnovamento degli impianti, utilizzo del portinnesto e irrigazione… se prendessimo gli articoli scritti da qualche cattedra ambulante prima della guerra troveremmo esattamente le stesse tematiche, trattate però su altre specie. Quindi credo che tutti noi avremmo bisogno di concretezza. NocciolaRe fornisce un grosso aiuto in questo: oltre a divulgare l’innovazione, fornisce informazioni fondamentali sulle varie parti della filiera ma potrebbe facilitare l’interscambio di informazioni favorendo la partecipazione di tutti gli attori ad eventi di confronto e contribuire a veicolare le necessità tecniche degli agricoltori. Questo sicuramente contribuirebbe anche a migliorare la divulgazione che potrebbe essere maggiormente centrata su quelli che gli agricoltori sentono come problemi vivi.
Il Professor Sergio Tombesi è docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree presso il Dipartimento di Scienze delle produzioni vegetali sostenibili (DI.PRO.VE.S.) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
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Pubblicato: 12-06-2024