Nocciolo innestato a confronto con quello autoradicato

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Noccioleto nella primavera del terzo anno d’impianto

Da una sperimentazione condotta dalle Università di Perugia e Piacenza. In caso di nocciolo innestato si ottiene una minore larghezza della chioma, una minore asportazione di materiale di potatura, un portamento più assurgente e compatto

Foto 1- Pianta innestata

 

Il nocciolo coltivato (Corylus avellana L.), prodotto per via vegetativa, ha un portamento cespuglioso a causa della formazione di numerosi polloni alla base del tronco (foto 1). Nei moderni noccioleti con piante a tronco unico e forma di allevamento che consente la meccanizzazione delle operazione colturali (alberello e vaso cespugliato), diffusi in Oregon (Usa), Francia, Spagna, Cile e limitatamente anche in Italia, è necessario effettuare vari interventi di spollonatura che aumentano a dismisura i costi di gestione. Infatti, la spollonatura eseguita manualmente, sebbene efficace, impiega fino a 50 ore/ha per ogni intervento e ne occorrono in media 3/4 l’anno, mentre quella chimica può richiedere fino a 5 interventi annui oltre, a volte, una spollonatura invernale (Tous et al. 1994; Corte 2012; Rovira et al. 2014).

foto 2 – Pianta autoradicata prima della spollonatura

Il crescente sviluppo della corilicoltura, anche al di fuori di aree tradizionali di coltivazione, sia in Italia che in Europa, impone l’ammodernamento degli impianti noccioleti per abbassare i costi di produzione e favorire la competitività. Ciò può essere realizzato aumentando la produzione, scegliendo ad esempio varietà caratterizzate da alte e costanti rese (> 2 t/ha), oppure impiegando portinnesti non polloniferi per ridurre i costi di produzione legati alle operazioni di spollonatura (Sorrenti e Roversi 2017; Tombesi et al. 2017).

 

Le due alternative

Il nocciolo può essere innestato su portinnesti ibridi, quali Dundee o Newberg selezionati in Oregon, oppure su semenzali di Corylus colurna L. come avviene in Serbia (Cerovic et al. 2009; Ninit-Todorovic et al. 2009). Studi inerenti le “performance” di piante di nocciolo innestate rispetto a quelle autoradicate sono stati condotti in Serbia e in Spagna, essenzialmente con varietà locali, ed hanno evidenziato che le piante innestate sono più vigorose e produttive di quelle autoradicate (Miletic et al., 2009; Tous et al., 2009; Rovira et al. 2014). In Italia tuttavia mancano indagini in merito.

Di seguito si riportano i risultati salienti di una indagine che vede il confronto tra giovani noccioli innestati su portinnesto non pollonifero di Corylus colurna L. e piante autoradicate delle più rappresentative varietà italiane, ovvero Tonda di Giffoni, Tonda Gentile delle Langhe e Tonda Gentile Romana, oltre alla Tonda Francescana, nuova varietà di nocciolo costituita di recente dall’Università di Perugia.

Il noccioleto in esame, eseguito nel settembre 2014, è ubicato nel Comune di Deruta (Pg) presso il laboratorio didattico – sperimentale del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università di Perugia, ha una densità di 500 piante per ettaro e presenta un impianto di irrigazione a goccia (vedi foto in apertura).

 

I risultati

Nelle fasi iniziali di crescita, indipendentemente dalla cultivar, le piante autoradicate hanno manifestato un maggior volume della chioma rispetto a quelle innestate, a causa della formazione di polloni (rimossi solo alla fine del secondo anno di impianto), che hanno aumentato sia lo sviluppo diametrale delle chiome sia la produzione di biomassa vegetativa (fig. 1).

Fig. 1 – Volume della chioma

Volume della chioma in funzione della varietà e della tipologia di pianta (autoradicate e innestate). Le medie accompagnate da lettere diverse sono differenti per P<0,05.

A livello varietale, la Tonda Francescana è risultata la più vigorosa, mentre la Tonda Romana è stata quella a più debole vigoria (fig. 1). Al terzo anno la sezione del tronco delle piante non ha mostrato variazioni apprezzabili né tra le due tipologie di pianta né tra le varietà (dati non mostrati). Le piante innestate hanno mostrato una crescita più lenta della sezione del tronco nei primi 2 anni dall’impianto e più rapida dal terzo in poi. Stesso risultato è stato riscontrato in Serbia e in Spagna, dove Miletic et al. (2009) e Rovira et al. (2014) hanno evidenziano che le piante innestate, oltre ad essere più vigorose, sono anche maggiormente produttive di quelle autoradicate.

Indipendentemente dalla cultivar, le iniziali differenze in sviluppo tra le due tipologie di piante in esame osservate nel 1° e 2° anno dalla messa a dimora, diminuiscono con la crescita. Le piante innestate hanno mostrato un portamento più assurgente rispetto a quelle autoradicate, che invece sono risultate più espanse, come indicato dalla maggior larghezza della chioma (figura 2).

Fig. 2 – Larghezza della chioma

Larghezza della chioma in funzione della varietà e della tipologia di pianta (autoradicate e innestate). Le medie accompagnate da lettere diverse sono differenti per P<0,05.

Il primo intervento di potatura è stato eseguito alla fine del 2° anno di crescita (2016), impostando tutte le piante a vaso cespugliato con tronco unico impalcato a 30-40 cm da terra (vedi foto pubblicate qui sopra). Il peso del materiale asportato con la potatura, complessivamente nei primi tre anni di crescita, è stato pari a 4 kg nelle piante autoradicate e di 2,1 kg in quelle innestate (fig. 3).

Fig. 3 – Peso del legno di potatura (A, a sinistra) e produttività del lavoro di potatura (B, a destra)

Peso del legno di potatura (A) e produttività del lavoro di potatura (B) in funzione della varietà e della tipologia di pianta (autoradicate e innestate) alla fine del 3° anno d’impianto. Le medie accompagnate da lettere diverse sono differenti per P<0,05.

 

Inoltre, nelle piante autoradicate il peso di questo materiale varia a seconda delle cultivar: in quelle più vigorose, ovvero Tonda Francescana e Tonda di Giffoni, è stato pari a 5,6 kg e 4 kg, rispettivamente, mentre nelle cultivar meno vigorose tale peso è stato di 3,3 kg per la Tonda Gentile delle Langhe e 2,8 kg nella Tonda Romana (figura 3).

Nelle piante innestate, invece, il peso cumulato del materiale di potatura è rimasto pressoché invariato in tutte le varietà (figura 3A). È altresì interessante notare come nelle piante autoradicate quasi il 50% del materiale asportato sia costituito da polloni/succhioni, mentre nelle piante innestate tale percentuale è scesa al 25-30% del totale asportato. Questi risultati indicano che nelle piante innestate si ha un minore “spreco” energetico, in quanto i fotoassimilati prodotti dalla pianta durante la stagione vengono utilizzati principalmente per completare la loro struttura permanente. Ne consegue inoltre che la potatura delle piante autoradicate è più onerosa; infatti, in queste ultime la produttività del lavoro, alla fine della terza stagione di crescita, è stata di 7 ore/ha contro le 3,5 ore/ha nelle piante innestate (figura 3B).

Per quanto riguarda l’entrata in produzione, si è rilevato che, mediamente, circa l’80% delle piante ha prodotto frutti, senza differenze tra le due tipologie in esame; l’innesto non ha quindi influenzato l’entrata in produzione.

 

Costi minori

In conclusione, nei primi tre anni dalla messa a dimora, le piante di nocciolo innestate hanno manifestato un minore volume della chioma, che poi però tende ad allinearsi a quello delle piante autoradicate, senza modifiche sia nella percentuale di piante in produzione sia nella sezione del tronco. Le piante innestate hanno mostrato una minore larghezza della chioma, minore asportazione di materiale di potatura e di conseguenza minore tempo per l’esecuzione di tale pratica colturale; oltre ad un portamento più assurgente e compatto della chioma. Quest’ultima caratteristica potrebbe essere utile per un eventuale aumento della densità di piantagione. L’elevato vigore proprio delle piante autoradicate, come dimostrato anche da altre indagini sull’intensificazione della coltivazione del nocciolo (Tombesi 1978; Ellena et al. 2014), non è accettabile nel lungo periodo per gli alti costi di gestione ed anche per la forte riduzione della penetrazione luminosa all’interno e tra le chiome.

Con le piante innestate quindi si riducono notevolmente i tempi di potatura e diminuiscono in maniera consistente anche i costi variabili dell’impianto oltre a ottimizzare l’intensità radiante all’interno delle chiome utile ai fini fotoassimilativi.

Infine, non è ancora possibile verificare gli effetti sulla produzione, in quanto il noccioleto è ancora in fase di allevamento, in genere della durata di 5/6 anni, quando cioè si raggiunge una quantità minima di nocciole per pianta che giustifichi una raccolta delle stesse economicamente valida.

 

La bibliografia è reperibile presso la redazione.

Autori: Daniela Farinelli (1), Mirco Boco (1), Alberto Palliotti (1), Sergio Tombesi (2)

(1) Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali, Università di Perugia.

(2) Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Sostenibili, Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza.

Fonte:  terraevita.edagricole.it – 1 marzo 2018

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