“Abbiamo bisogno di produttori di frutta secca e specialmente di nocciole“. È l’appello che Giuseppe Calcagni (nella foto), presidente del Gruppo Besana, ha lanciato dal palco dell’ultima edizione de ‘I protagonisti dell’ortofrutta italiana’ a Caserta dove, nel corso dell’incontro dal titolo ‘Il rilancio della nocciola’ moderato da Duccio Caccioni, direttore scientifico di FICO, fabbrica contadina (Bologna), ha precisato: “La domanda mondiale – ha spiegato – è praticamente raddoppiata negli ultimi anni anche grazie all’ingresso nel gioco mondiale delle gigantesche economie asiatiche di India, Cina e, in genere di tutta l’area del Sud-Est asiatico. In questi territori la frutta secca è un prodotto già conosciuto e non ha bisogno di promozioni. La crescita della domanda segue il trend della crescita economica”.
Secondo l’analisi effettuata da Calcagni, che ha presentato in anteprima a Caserta una relazione destinata al comparto produttivo kazako al quale rivolgerà lo stesso appello tra una settimana, il problema è che mentre la crescita della domanda mondiale si è assestata, tra il 2016 e il 2017 a +15%, la produzione mondiale cresce più lentamente (+9%), creando un differenziale insostenibile per l’industria della frutta a guscio anche per l’elevata richiesta di prodotti dolciari che la impiegano.
“Trentacinque miliardi di dollari di fatturazione mondiale per i produttori di nocciole – precisa Calcagni – equivalgono oggi ad un giro d’affari globale di 500 miliardi di dollari di prodotto finito. Ciò in considerazione dell’elevata quantità di materia prima richiesta per le preparazioni dolciarie più comuni. Per un cioccolatino Gianduia, ad esempio, se ne usa il 45%, per un prodotto dolciario di buona qualità, la quantità minima è il 24%. La Nutella, che è la crema di nocciole più diffusa al mondo, ne usa il 13%”.
Le previsioni del settore sono di un’ulteriore significativa crescita nei prossimi anni e l’Italia può giocare un ruolo di primo piano per le sue favorevoli condizioni pedo-climatiche che di fatto raddoppiano la produttività degli impianti rispetto, ad esempio, a quelli in Oregon negli Stati Uniti: 4mila chili per ettaro contro 2.300.
Non è un caso che Ferrero – che ha recentemente acquisito il ramo d’azienda Nestlé dedicato ai prodotti dolciari – ha chiesto all’Italia la creazione di 10mila nuovi ettari di impianti.
“In Italia – conclude Calcagni – abbiamo le migliori varietà ma il problema che è difficile arrivare a trovare appezzamenti così grandi da garantire la dimensione ottimale per un investimento (circa 250 ettari). Bisogna lavorare sulla creazione di massa critica considerando che i miglioramenti varietali a cui siamo arrivati permettono di andare in produzione già dal terzo-quarto anno con la possibilità di avere 750 piante per ettaro. In pratica, a fronte di un investimento medio di circa 3-4mila dollari/ettaro, si ha una redditività media di 5.500 euro netti per ettaro”.
Mariangela Latella
Pubblicato 23/01/2018
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