Contrastare Halyomorpha halys in maniera efficace e sostenibile si può. È quanto emerso al convegno sulla cimice asiatica tenutosi nei giorni scorsi a Cherasco (Cn), con un focus speciale sul nocciolo. Luciana Tavella, del DISAFA dell’Università di Torino, fa il punto della situazione
Contrastare la cimice asiatica in maniera efficace e sostenibile si può e l’Osservatorio cimice asiatica messo a punto in Piemonte ne è una prova.
L’Osservatorio è nato alla fine del 2017 con l’obiettivo di minimizzare i danni delle infestazioni di cimice asiatica (Halyomorpha halys): pesanti perdite di produzione per il settore corilicolo e un uso eccessivo di trattamenti insetticidi, che hanno avuto scarsi risultati e hanno in parte vanificato gli effetti della difesa integrata da anni adottata sul territorio.
L’Osservatorio è un’iniziativa che vede coinvolti Università di Torino (DISAFA Entomologia), Ferrero HCo, Coldiretti Piemonte, Fondazione Agrion, Fondazione CRC e Regione Piemonte per impostare una strategia di difesa con interventi mirati e tempestivi contro la cimice effettuati sulla base dell’effettiva presenza sul territorio, accertata attraverso i dati dell’attività di monitoraggio sia per mezzo delle trappole sia con controlli visivi e frappage. Tutto questo ha portato, grazie all’attività del coordinamento tecnico regionale, alla definizione di un programma di difesa e di pratiche colturali adeguate al periodo, divulgato attraverso una nota tecnica settimanale (bollettino) inviata a tutti i partecipanti al coordinamento. In totale nel corso della stagione 2018 sono stati inviati 25 avvisi di cui 17 specifici sulla cimice asiatica che hanno permesso un posizionamento ottimale degli interventi (2-4 a partire da giugno) e un buon contenimento del danno medio, passando dal 20-30% del 2017 al 7-8% durante la stagione 2018.
È quanto emerso in occasione il convegno “Cimice asiatica: la situazione attuale” a Cherasco, durante il quale sono stati presentati i risultati dell’attività dell’Osservatorio e i passi avanti fatti dalla ricerca durante l’ultimo anno, con un focus sul nocciolo.
Questa metodologia rappresenta quindi la migliore strategia di difesa da Halyomorpha halys?
«Un conto è parlare di difesa contro H. halys oggi – risponde Luciana Tavella del DISAFA dell’Università di Torino, intervistata a margine del convegno – e un conto è parlare della difesa nel prossimo futuro – spiega-. Domani il focus deve essere sempre sul monitoraggio. Quest’anno è stato effettuato il monitoraggio con trappole a base di feromoni di aggregazione (MDT+Murgantiolo) nel comprensorio, non nel noccioleto, perché la cimice arriva dall’esterno e lo scopo è farla arrivare all’interno del noccioleto il più tardi possibile.
Grazie al monitoraggio si sa quando la cimice si muove nel territorio, in quel momento si può iniziare a eseguire i trattamenti di bordo, nelle prime due file perimetrali, e il monitoraggio interno con frappage. Se si rileva la presenza anche all’interno (bastano 1 o 2 cimici per pianta, in attesa di una più precisa definizione della soglia di intervento) allora si posizionano i trattamenti».
Quanti interventi occorrono all’anno?
«Dipende ovviamente dalle condizioni climatiche e da altre variabili, l’obiettivo è comunque quello di contenere gli interventi entro soglie di sostenibilità. Negli anni scorsi il timore innescato dall’arrivo di questo insetto esotico ha portato in altri contesti agrari a un numero eccessivo di trattamenti (anche 8-9). Esagerazioni da evitare. L’esperienza di quest’anno dell’Osservatorio cimice asiatica mostra la possibilità di contenere a 2-4 gli interventi necessari all’anno, seconda dell’area e del grado di infestazione, a partire dal periodo di maggiore suscettibilità del noccioleto».
Ci sono altre armi?
«A oggi un altro strumento a disposizione è la potatura: con un noccioleto condotto in maniera razionale e con piante ben potate i trattamenti sono più efficaci – continua Tavella – il prodotto raggiunge tutta la chioma e viene distribuito in modo uniforme. Anche raccogliere il prima possibile può essere utile. Tra le soluzioni meccaniche le reti antigrandine, efficaci su altre colture frutticole, non appaiono invece praticabili in noccioleto.
E per la difesa nei prossimi anni?
«Per il futuro – continua Luciana Tavella – potranno essere validi gli studi sullo svernamento e sulle prime piante ospiti. Se si riuscirà a individuare bene quali sono le prime piante ospiti, allora si potrà intervenire con i feromoni attraendo la cimice su quelle piante e procedendo all’abbattimento, prima che avvenga la migrazione in noccioleto. Lo stesso discorso vale per le sostanze battericide contro il simbionte intestinale di H. halys o i parassitoidi oofagi, ma anche in questo caso la strada è ancora lunga prima di poterli considerare un’alternativa concreta».
Grazie al monitoraggio si sa quando la cimice si muove nel territorio, in quel momento si può iniziare a eseguire i trattamenti di bordo, nelle prime due file perimetrali, e il monitoraggio interno con frappage. Se si rileva la presenza anche all’interno (bastano 1 o 2 cimici per pianta, in attesa di una più precisa definizione della soglia di intervento) allora si posizionano i trattamenti».
Lotta biologica con i parassitoidi oofagi indigeni, cosa si sa?
«Halyomorpha halys arriva dall’Asia (Cina, Giappone, Corea) dove ha limitatori naturali che riescono a mantenerla efficacemente sotto controllo, in Nord America ed Europa però è arrivata da sola senza antagonisti. In Piemonte ci sono tante cimici nostrane tenute a freno da parassitoidi oofagi e quindi la prima mossa è stata quella di chiederci se qualcuno di questi antagonisti potesse funzionare anche contro la nuova arrivata. Purtroppo questi parassitoidi (Trissolcus spp. e Telenomus spp.), durante le prove di laboratorio, hanno attaccato e in parte ucciso le uova ma non sono riusciti a svilupparsi. La percentuale della parassitizzazione andava, infatti, dallo 0 all’1%. Questi risultati portano anche a pensare che nel lungo periodo la cimice asiatica possa diventare una vera e propria trappola per i parassitoidi nostrani, che sono attratti dalle uova, vi ovidepongono, ma non riescono a sopravvivere e a svilupparsi.
Nel 2016-2017, allora, invece che portare i parassitoidi sulle uova di H. halys abbiamo fatto l’operazione inversa, abbiamo raccolto quante più ovature possibili da più siti in Piemonte per individuare gli eventuali parassitoidi già presenti. Su acero, pianta molto appetita alle cimici e presente nelle zone suburbane, abbiamo raccolto oltre 17 mila uova nel 2016 e oltre 11 mila nel 2017, con una parassitizzazione del 12-13% da parte del parassitoide generalista Anastatus bifasciatus e di una specie del genere Trissolcus, in misura minore. Quest’ultimo, che aveva acceso molte speranze (perché morfologicamente simile al parassitoide specifico T. japonicus), comunque non si è mai espanso e non ha dato buoni risultati nei lanci effettuati in campo, mentre A. bifasciatus dovrebbe essere attualmente in fase di allevamento presso il Bioplanet e quindi il prossimo anno potrebbe essere pronto per il rilascio».
Ma sul Trissolcus japonicus ci sono novità?
«Quest’anno dalle raccolte delle uova (oltre 15 mila) effettuate in zone agrarie si sono ottenuti risultati interessanti. Innanzitutto la parasitizzazione delle uova è stata del 19%, sempre bassa ma comunque più alta di quella degli anni scorsi. Ma la novità è che questo risultato è per il 77% sempre a carico di A. bifasciatus ma, a differenza degli altri anni, per il 23% a carico di un Trissolcus: non la specie nostrana ma il T. japonicus. Questo risultato è confermato anche da un recente studio in Svizzera che segnala la presenza di T. japonicus nel Canton Ticino, sia a fine estate 2017 sia nel 2018.
Oltra alla nostra segnalazione in Piemonte, altri colleghi italiani hanno riportato la presenza del T. japonicus anche in Lombardia. Ma non finiscono qui le novità: ci sono segnalazioni anche per un altro Trissolcus, il T. mitzukurii in Friuli Venezia Giulia e in Alto Adige.
Bisogna però fare alcune considerazioni: occorre ora valutare qual è l’impatto di questi parassitoidi, è vero che li abbiamo sul nostro territorio ma sono comunque insetti esotici che non possiamo per ora moltiplicare e rilasciare.
Inoltre questi parassitoidi non sono specifici, possono quindi attaccare le uova di altre cimici locali che in alcuni casi sono anche predatori utili. In più non essendo specifici il loro effetto potrebbe diluirsi: se l’attacco non è solo a carico della cimice asiatica, l’efficacia risulta inferiore.
I parassitoidi oofagi rappresentano quindi un arma?
Allo stato attuale, per quanto riguarda i parassitoidi oofagi, l’unico che può contribuire al contenimento di H. halys è l’A. bifasciatus. Per gli altri due la strada è ancora lunga, perché anche ammesso che siano efficaci bisogna dar loro il tempo di insediarsi e svilupparsi a sufficienza per tenere a freno la popolazione della cimice asiatica. Si può e si deve essere positivi ma il prossimo anno non ci si può affidare esclusivamente alla presenza di questi due Trissolcus, non si può abbassare la guardia.
Pubblicato: 21/12/2018
Autore: Sara Vitali
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