Proponiamo ai nostri lettori un’intervista alla professoressa Luciana Tavella del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari – Entomologia Generale e Applicata dell’Università di Torino, che da anni si occupa delle cimici del nocciolo ed attualmente sta studiando in particolare quella asiatica. A lei poniamo alcune domande per meglio capire quali problematiche si aprano con l’arrivo di questo insetto e quali possano essere le soluzioni più razionali.
Il noccioleto a differenza di altre colture frutticole rappresenta in genere un ecosistema sostenibile perché ancora ricco di biodiversità. Nuovi scenari sembrano però aprirsi dopo l’arrivo della cimice asiatica contro cui i corilicoltori potrebbero fare un uso decisamente maggiore di insetticidi, andando ad alterare l’equilibrio biologico. Quali strategie di difesa si possono mettere in atto per evitare che ciò avvenga?
L’introduzione e la conseguente diffusione della cimice asiatica Halyomorpha halys stanno modificando le strategie di difesa integrata ormai largamente adottate sulle colture a livello regionale e nazionale, così come già avvenuto in altre aree (es. Nord America). Per non vanificare i programmi di difesa integrata, in particolare in corileto che, come detto sopra, è un agroecosistema sostenibile, occorre innanzi tutto aumentare le attività di monitoraggio della cimice onde individuarne tempestivamente l’arrivo su nocciolo ed effettuare gli opportuni trattamenti soltanto in sua presenza, magari partendo con interventi mirati sulle piante di bordo che sono le prime colonizzate da H. halys a inizio stagione. È attualmente in studio la tecnica attract-&-kill che consiste nell’attrarre l’insetto in una zona ristretta mediante erogatori a elevata dose di feromone e abbatterlo con modalità diverse, trattamento insetticida e/o reti insetticida a lunga durata.
Il fatto che vi siano pochissime molecole insetticide registrate sul nocciolo quanto può incidere sul rischio di alterare l’agroecosistema e sull’efficacia delle strategie di difesa?
La reiterazione di poche molecole ad ampio spettro di azione, quali i piretroidi, compromette sicuramente la stabilità e la biodiversità dell’agroecosistema, oltre a favorire la selezione di popolazioni di H. halys resistenti a tali molecole. Occorre ricordare che in noccioleto molti fitofagi potenzialmente dannosi, come ad esempio gli afidi, non costituiscono un problema poiché efficacemente limitati da un ricco complesso di nemici naturali, predatori e parassitoidi. Inoltre i pochi insetticidi registrati su nocciolo includono molecole fortemente tossiche per gli acari fitoseidi, efficaci predatori di acari tetranichidi (i comuni ragnetti rossi). Di conseguenza l’aumentato uso di insetticidi potrà causare pullulazioni di fitofagi secondari che richiederanno ulteriori interventi con aggravio di costi e di impatto sulla salute umana e ambientale.
Il suo dipartimento sta sviluppando diversi progetti di ricerca su questa nuova emergenza fitosanitaria. Ci può illustrare gli argomenti su cui state lavorando e fare qualche anticipazione sui primi risultati conseguiti?
Dalla prima segnalazione della cimice sul territorio regionale, con il contributo della divisione Hazelnut Company del gruppo Ferrero, della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e della Regione Piemonte, sono state avviate diverse ricerche volte a conoscere biologia, comportamento e diffusione dell’insetto in Piemonte, accertarne la pericolosità su alcune colture fra cui il nocciolo, mettere in atto misure di difesa efficaci e sostenibili. Dalle prove condotte è emerso che, con le punture di nutrizione dalla comparsa del seme alla raccolta, la cimice asiatica causa i ben noti sintomi, ossia il cimiciato, ma in maggiore quantità rispetto alle cimici indigene. Come queste, anche H. halys colonizza il corileto partendo dall’esterno, infatti il danno è in genere più elevato nelle piante di bordo. Stiamo quindi studiando il comportamento degli adulti in fine inverno-primavera al fine di valutarne la risposta ai feromoni di aggregazione, identificarne le prime piante ospiti, sia spontanee sia coltivate, individuare il momento di migrazione in corileto. Inoltre sono in corso indagini sui limitatori naturali, in particolare sui parassitoidi oofagi indigeni in grado di adattarsi alla cimice asiatica e sui simbionti che svolgono un ruolo importante nello sviluppo dell’insetto e su cui si potrebbe intervenire per ridurre le infestazioni.
La lotta biologica può rappresentare sicuramente la soluzione preferibile per contenere questo fitofago in maniera sostenibile ed efficace. Dai vostri studi sono emersi elementi per cui si possa ritenete che gli antagonisti autoctoni siano in grado nel tempo di contenere adeguatamente la cimice asiatica?
In natura le cimici sono spesso fortemente limitate da parassitoidi oofagi, cioè che si sviluppano completamente a carico delle uova dell’ospite. Questi oofagi, appartenenti agli imenotteri, possono essere generalisti o specialisti, a seconda che siano in grado di svilupparsi su molte specie o su una o poche specie. Nelle nuove aree di invasione, sulle specie introdotte è più facile rinvenire parassitoidi generalisti. Infatti nel corso delle indagini svolte nel biennio 2016-2017 il parassitoide ottenuto in maggiore quantità è stato l’encirtide Anastatus bifasciatus, specie nota svilupparsi sulle uova di molti ospiti appartenenti anche a ordini diversi. Tuttavia i livelli di parassitizzazione sono ancora bassi, meriterà vedere se nel tempo aumenteranno naturalmente o se sarà possibile incrementarli con eventuali rilasci massali.
A suo avviso sono giustificate le aspettative che alcuni ripongono nella lotta biologica con insetti del genere Trissolcus?
È ancora presto per rispondere a questa domanda. Nell’area di origine il parassitoide oofago più abbondante su H. halys è Trissolcus japonicus, che dal 2015 è stato segnalato anche in diversi stati del Nord America. Non vi sono però ancora evidenze scientifiche sull’impatto di questo parassitoide in Nord America dove sono appunto in corso studi sulla sua diffusione ed efficacia. Si tratta comunque di un parassitoide in grado di attaccare e svilupparsi sulle uova anche di altre cimici, quindi è necessario indagare quali saranno il comportamento e l’efficacia nei confronti di H. halys nelle nuove aree. Attualmente, in collaborazione con Tim Haye del CABI di Delemont, Svizzera, stiamo svolgendo prove di risk assessment per valutare l’attività e la preferenza di T. japonicus nei confronti delle cimici indigene. Tuttavia occorre ancora sottolineare che in Italia attualmente non è possibile alcun rilascio in campo di qualsiasi organismo esotico. Al contempo, merita proseguire le indagini sulle specie indigene del genere Trissolcus in grado di adattarsi all’ospite esotico per valutarne potenzialità e ruolo come antagonisti della cimice asiatica.
Pubblicato 04/06/2018
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