Nocciole, nubi sulla prossima campagna

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Il prezzo del mercato turco potrebbe crollare per un aumento delle rese per ettaro e della continua svalutazione della lira sull’euro. Giampaolo Rubinaccio di Ortofrutta Italia spiega ad AgroNotizie criticità e possibili soluzioni di questo scenario

Sugli alberi ci sono già le nocciole ed è il momento giusto per iniziare a fare chiarezza sulle prospettive di mercato di questo prodotto, tenendo conto che la Turchia, con l’80% della produzione mondiale, fa il prezzo di riferimentoper le nocciole ovunque prodotte. Secondo le previsioni appena rilasciate dall’International nut and dried fruit Council, l’offerta mondiale di nocciole nella campagna 2018-2019 si attesterà a 12,3 milioni di quintali, in leggero incremento rispetto al dato della scorsa stagione (12 milioni).

Secondo la prima stima sul nuovo raccolto in Turchia5 milioni e 480mila quintali, venuta fuori dalle organizzazioni agricole del paese già a metà marzo 2018, nella campagna corilifera 2018-2019, il prezzo di acquisto avrebbe dovuto attestarsi intorno alle 15 lire turche, che al cambio con l’euro di oggi fanno quasi 2,80 euro al chilogrammo. Ma quando la notizia era stata diffusa, a marzo, il prezzo in euro sarebbe stato di oltre 3,11 euro al chilogrammo. Questo perché la valuta turca negli ultimi mesi si è svalutata contro l’euro.

Ma negli ultimi tempi le nuove previsioni di raccolto per la Turchia – rese note a fine maggio dalla International nut and dried fruit Council – e pari a 6 milioni e 400mila quintali, legate al miglioramento delle rese per ettaro, ed unite al continuo svalutarsi della lira turca sull’euro, fanno prevedere un crollo del prezzo all’origine delle nocciole fin sotto la linea di pareggio della maggioranza delle aziende corilifere italiane.

Intanto, la Ferrero sta lanciando un accordo di filiera a 2,35 euro al chilogrammo in Italia. Ma solo per le nocciole di cultivar di pregio e migliore qualità. Un prezzo che già lascerebbe sotto la linea di pareggio il bilancio di molte aziende della collina e della montagna in Campania, una delle regioni maggior produttrici di nocciole. Per le quali non c’è altra via di uscita che diventare primi trasformatori della materia prima e lanciarsi nel biologico. Di questo ed altro AgroNotizie ha parlato con Giampaolo Rubinaccio, responsabile area frutta in guscio di Ortofrutta Italia.
Le previsioni talvolta lasciano il tempo che trovano, ma è vero che c’è un rischio Turchia?
Direi che c’è un rischio di mercato ancora più generale: ormai da anni le imprese industriali che ritirano il prodotto per la trasformazione hanno lanciato una vera e propria campagna per far sì che la produzione mondiale di nocciole cresca: basti pensare al piano della Ferrero, che investe oltre 40 milioni di euro in questa operazione e che ha acquistato in proprio aziende agricole e solo in Italia punta ad un incremento delle superfici investite da parte degli agricoltori di 20mila ettari entro il 2025“.

Nel tempo l’offerta crescerà, ma non ha risposto alla mia domanda: il rischio Turchia per la prossima campagna c’è oppure no?
“Se le previsioni di raccolto da 6,4 milioni di quintali date a Siviglia a fine maggio dall’International nut and dried fruit Council dovessero realizzarsi e se dovesse ulteriormente continuare la svalutazione della lira turca sull’euro, potremmo trovarci di fronte a qualche amara sorpresa. Il prezzo che gli agricoltori turchi sperano di spuntare, intorno alle 15 lire al chilogrammo, è legato ad una produzione attesa inferiore di quasi un milione di quintali rispetto a quella divulgata a Siviglia a fine maggio. Ovviamente non è da escludersi che i magazzini gestiti dal governo turco possano acquistare nocciole per stabilizzare il prezzo, come per altro già avvenuto, ma è pur vero che gli stock attuali sono già elevati: un milione e 700mila quintali”.

Come si spiega questo scostamento tra previsioni?
“Pare che la Ferrero stia investendo molto nella formazione dei corilicoltori turchi, che generalmente hanno rese per ettaro molto basse, ma che negli ultimi tempi, secondo quanto si apprende da canali informali, le starebbero in molti casi raddoppiando triplicando grazie alla consulenza aziendale del gruppo di Alba“.

Intanto in Italia prende piega il progetto Nocciola Italia di Ferrero hazelnut company. L’iniziativa, annunciata a inizio aprile, prevede l’impianto di 20mila ettari di nuovi noccioleti sul territorio nazionale. Al Macfrut di Rimini, sono stati forniti alcuni dettagli in più sull’operazione, che punta a portare da 70mila a 90mila gli ettari di noccioleto in Italia. Di cosa si tratta di preciso?
“L’incremento degli impianti interesserà anche altre regioni oltre a quelle tradizionalmente vocate per la corilicoltura, recente l’accordo con la Basilicata ad esempio. Al progetto possono aderire sia produttori singoli che associazioni di produttori. La base di partenza è un impianto minimo di 100 ettari, ma con l’impegno, attraverso un piano di sviluppo, a raggiungere almeno i 500 ettari in cinque anni. Il piano di sviluppo potrà essere presentato dal 2018 al 2021, ma potrebbe terminare anche prima, nel caso in cui venisse raggiunto in anticipo l’obiettivo dei 20mila ettari di noccioleti in più. Va detto che da questo punto di vista ci troviamo di fronte a previsioni puramente teoriche per l’Italia, noccioleti da 100 ettari per azienda, specie nelle zone vocate del Sud Italia, non ne esistono”.

I 20mila ettari di nuovi noccioleti dovrebbero entrare in piena produzione dal 2025. Ferrero però garantisce a chi aderirà al progetto l’acquisto fino al 2037 di almeno il 75% del prodotto, a condizione che rispetti certi standard produttivi, una specie di contratto di filiera come per il grano, potrebbe essere conveniente?
“Anche su questo ci sono forti dubbi: il prezzo di base per l’acquisto sarà calcolato al 30% sui valori della Turchia ed al 70% tenendo conto del prezzo in Italia e dei costi di produzione. Al prezzo base pagato da Ferrero sarà aggiunta una remunerazione calcolata sulla qualità delle nocciole e sulla varietà. Il prezzo base sarà rivalutato ogni tre anni, in base all’inflazione corrente. Qualora si verifichino condizioni particolari sul mercato turco, Ferrero garantirebbe di pagare il prezzo base d’acquisto di euro 1,95 al chilogrammo. La quotazione per le nocciole di migliore qualità si aggirerà sui2,35 euro al chilogrammo, anche calcolando gli incentivi dati sulle cultivar. Insomma, se tutto va bene, chi coltiva nocciole in provincia di Avellino, con costi aziendali medi pari a 2,50 euro al chilogrammo, non sarà nelle condizioni di aderire ai contratti di coltivazione di Ferrero neppure nel caso riesca a garantire la migliore qualità e coltivi cultivar quali la tonda gentile o la tonda di Giffoni”.

Insomma, i corilicoltori sono stretti in una sorta di tenaglia: da un lato il mercato turco che farà il prezzo e dall’altro l’industria che sta entrando a gamba tesa nella programmazione produttiva: come se ne esce?
“Aiutando gli agricoltori di collina e di montagna, anche con una misura specifica sugli investimenti dei Programmi di sviluppo rurale, per garantire loro la redditività delle coltivazioni: oggi sono quelli che rischiano di rimanere fuori mercato e con l’abbandono dei noccioleti, in zone come Sarno in Campania, ad esempio, il rischio di innescare nuove frane è altissimo”.

In pratica cosa si dovrebbe fare?
“Occorre favorire l’acquisto di macchine che consentano di realizzare nell’azienda agricola la prima trasformazione della nocciola con contributi pari al 90% del valore dell’investimento, in modo da elevare il valore aggiunto del prodotto e rilanciare la contrattazione sul prezzo con il mondo industriale. L’incentivazione delle attrezzature è garantita dai commi 6 e 7del vigente Regolamento Ue 702/2014 che permette alle regioni di elevare l’aliquota al massimo consentito: il 90%. Ora, nel Psr della sola Campania è limitato al 50% fatto salvo alcune esclusive eccezioni come fusioni di Op. Inoltre, occorrerebbe aprire, in una regione importante per la corilicoltura come la Campania, il bando per l’adesione al biologico: attualmente le aziende non possono farlo, perché avendo incassato gli incentivi per l’integrata negli anni precedenti, si vedrebbero oggi costrette a restituire quanto già incassato per poter aderire al biologico”.

Autore: Mimmo Pelagalli

Pubblicato 13/06/2018

Copyright: AgroNotizie

 

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