Nocciole, un prodotto dal consumo in netta crescita e dal grosso potenziale, sia in termini economici che di sostenibilità ambientale. L’Italia ne è il primo produttore europeo e il secondo al mondo dopo la Turchia. 71 mila circa gli ettari coltivati, dislocati tra Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia, per una produzione tra le 100 mila e le 130 mila tonnellate all’anno (alta quanto insufficiente rispetto alla richiesta dell’industria dolciaria che necessità di attingere anche all’estero).
In questa mole di produzione gioca un ruolo fondamentale l’Irpinia, contribuendo a circa un terzo del fabbisogno nazionale. Un dato più che significativo per comprendere quanto questo prodotto ricada sulla nostra economia. Avellana, mortarella sono le varietà più diffuse nel nostro territorio, in particolare nelle zone del Vallo di Lauro, del Baianese e della fascia del Partenio: tutte qualità riconosciute dal Ministero delle Politiche Agricole come prodotto agroalimentare tradizionale italiano.
“La Campania, e in particolar modo Avellino e Salerno, incide in maniera determinante sulla produzione italiana di nocciole – afferma a tal uopo Angelo Frattolillo, imprenditore zootecnico e presidente di Confagricoltura Avellino – Al momento i prezzi sono alti (7,5 €/kg) e agli imprenditori conviene vendere. Il problema è che siamo costretti ad importarne ancora tante ed è difficile avere libero mercato con regole diverse. Basti pensare alla Cina, in Oriente i costi di produzione sono bassissimi e c’è poco rispetto per la tutela dell’ambiente. Qui le pratiche sono troppo costose, siamo costretti a concorrere con nazioni che non seguono le nostre stesse regole e questo ci penalizza”.
L’industria corilicola italiana svolge un ruolo chiave anche a livello internazionale: i principali clienti dell’export delle nostre nocciole sono Germania (45%) Svizzera (13%) e Francia (1%). Dati in ipotetica ascesa se si considera l’incertezza sulle politiche di mercato della Turchia (nostro principale competitor). Insomma una vera e propria miniera d’oro marrone, la cui principale produzione è incentrata nel nostro terreno.
“Restano dei punti deboli nella filiera – continua ancora Frattolillo – come la scarsa cooperazione tra imprenditori (da soli non si va da nessuna parte) e i costi di produzione più elevati rispetto ai concorrenti esteri. Lo Stato ha dichiarato guerra alle imprese: è giusto rispettare le regole, ma con la giusta tassazione. Nella maggior parte dei casi gli imprenditori non hanno neanche la forza economica per accedere ad un finanziamento. Si spendono milioni di euro per PSR e Gal ma di concreto non si ottiene nulla, anzi si sbandierano solo bei titoli sui quotidiani”.
Come in ogni settore l’obbiettivo da raggiungere è la riduzione dei costi di produzione e il mantenimento degli standard qualitativi e ambientali. “Come fare? Con norme utili, applicabili e con normative Cee adeguate ad ogni singolo territorio. Agli imprenditori irpini dico di tenere duro e di seguire l’esempio del vino, punta di diamante della nostra produzione, che si è industrializzato già da tempo”.
Fonte: Irpinia News